Mario Bordignon
Mario Bordignon
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missionari / Mario Bordignon
Sono Mario Bordignon e da molti anni vivo in mezzo agli indigeni Bororo del Mato Grosso, in Brasile. Con tutto il rispetto per i grandi missionari del passato, penso che sia più difficile oggi essere missionario perché le interferenze della società occidentale nelle culture indigene sono molto forti.
È il lato negativo del progresso. Da un lato una macchina fotografica o una videocamera sono strumenti preziosi per preservare la cultura, dall’altra i cellulari, la radio, la televisione invadono tutto con la cultura dominante.
Uno dei nostri compiti di missionari è difendere l’identità di un popolo. Il fenomeno della perdita culturale purtroppo è mondiale: si dice che si perdono 2-3 lingue al giorno nel mondo e con la lingua anche la cultura.
Da quando negli anni Ottanta sono andato a lavorare nei villaggi bororo, in particolare a Meruri, l’attività che mi ha più impegnato è stata la creazione di una scuola differenziata che facesse conoscere la cultura nazionale senza perdere la ricchissima cultura bororo.
La cosa più bella che ho fatto è stata di lasciarmi affiancare da un anziano molto competente, che è stato il mio padrino. Io imparavo da lui e facevo da ponte con i ragazzi a scuola. Poco per volta abbiamo realizzato una scuola bilingue interculturale, coinvolgendo anche gli anziani.
Oggi la scuola è in mano ai Bororo: abbiamo formato i maestri, che hanno fatto studi universitari, due miei allievi sono avvocati, il direttore della scuola è indigeno.
Oltre a lottare per la sopravvivenza culturale, ho cercato di aiutare i Bororo nel loro sostentamento economico, vero punto critico.
Il consumismo è arrivato anche qui: i Bororo hanno sperimentato un passaggio brusco dall’economia tradizionale a quella occidentale, faticano a capirne a ad assimilarne i meccanismi. È facile comprare, ma senza comprendere il processo di produzione, spesso sono spaesati.
Infine, li sto accompagnando nella demarcazione delle loro terre. Erano già state create delle riserve ufficiali riconosciute ma i fazenderos, i ricchi proprietari terrieri, le hanno occupate. I Bororo devono recuperare le loro terre.
Oltre a rendere difficile la delimitazione delle loro terre, i fazenderos vogliono che i Bororo affittino le loro terre, quindi le disboscano e piantano per la produzione su larga scala di soia, granoturco, canna da zucchero e per gli allevamenti intensivi di bovini. Questo tipo di produzione orientata al mercato esterno richiede l’uso di molti pesticidi che stanno intossicando le acque e i villaggi indigeni.
Le uniche terre con un po’ di vegetazione in Brasile sono quelle indigene, quindi delimitarle è un bene non solo per gli indigeni, ma anche per tutta la nazione perché sono un polmone verde importantissimo.
I Bororo mi hanno insegnato tanto. Noi occidentali siamo molto impegnati ad accumulare cose materiali. Partecipando ai rituali del funerale bororo mi ha molto impressionato questo: tutto quello che apparteneva al defunto viene bruciato. Io, scandalizzato, ho chiesto perché e il mio padrino, sorpreso dalla mia domanda, mi ha risposto: “Quello che vale di una persona non sono le sue cose ma quello che ha dentro, la sua morale, la sua cultura, il suo sapere”. Sono rimasto zitto e ho imparato.
Bisogna preoccuparsi dell’essenziale della vita.