Violenza e insicurezza, la situazione di Haiti peggiora

Haiti è di fatto un Paese nelle mani di numerose bande armate, fuori da ogni possibilità di intervento da parte della polizia. L’opposizione politica si intreccia con la delinquenza comune mentre anche nelle forze governative si nidificano rapporti pericolosi con la malavita. La situazione dell’ordine pubblico è fuori controllo, come emerge dalle testimonianze raccolte sul posto, e non si può sperare in una qualche ragionevolezza dei rapitori: molti gruppi sono composti da giovani sbandati che vengono da quartieri estremamente poveri, spesso sono consumatori oltre che spacciatori di droga. Non c’è autorità capace di garantire sicurezza nel Paese, lo Stato è completamente assente.

Secondo le analisi del Centro di analisi e di ricerca sui diritti umani di Haiti (Cardh) nel 2020 ci sono stati 796 rapimenti e tra gennaio e metà ottobre 2021 se ne sono verificati 782; le Nazioni Unite stimano un totale di circa 160 bande che gestiscono traffici e governano intere zone e quartieri.

Negli ultimi mesi la comunità salesiana ha vissuto momenti un po’ difficili in seguito a due rapimenti di due salesiani, poi liberati, e una sparatoria avvenuta nel tragitto che stava percorrendo una piccola colonna di camion che ha costretto i Figli di Don Bosco a fare dietrofront. Da allora non si sono più verificate le condizioni per effettuare lunghi spostamenti. Il nuovo ispettore dei Figli di Don Bosco di Haiti, don Morachel Bonhomme, si è così trovato in una concatenazione di eventi drammatici immediatamente dopo la sua nomina, avvenuta a dicembre da parte del Rettor Maggiore don Àngel Fernández Artime. Peraltro il salesiano conosce bene la situazione del Paese avendo ricoperto numerosi incarichi di responsabilità nel corso degli anni, da quando fu ordinato sacerdote nel 1998. Il terremoto del 14 agosto (7,2 gradi della scala Richter) ha causato la perdita totale di case e di beni per migliaia di famiglie. La comunità salesiana hanno organizzato subito i soccorsi portando pasti caldi a circa 500 famiglie di Les Cayes. I confratelli del sud hanno svolto diverse attività di distribuzione degli aiuti, ricevuti dalla rete mondiale salesiana di cui fa parte Missioni Don Bosco. Si tratta di andare incontro alle necessità in un contesto sfavorevole, spesso condizionato dai blocchi stradali gestiti dalla delinquenza organizzata e dagli agguati che ne conseguono.

La situazione sociale è ulteriormente complicata dalla pandemia: gli Haitiani diffidano delle vaccinazioni, mentre il contagio cresce con la variante che lì chiamano “Fluona” (“influenza da corona”, all’inglese). Ci sono molti casi, con conseguenze mortali anche per i giovani già debilitati dalla denutrizione e dalla vita di strada. È in questo “inferno” che sono stati rimpatriati in questi giorni 350 emigrati irregolari da Haiti agli Stati Uniti, fra i quali 112 minori che andranno probabilmente a bussare anche ad una delle otto Case salesiane attive nel Paese.

Nel Paese in alcune zone mancano acqua e gas per intere settimane, i collegamenti telefonici spesso subiscono interruzioni, internet e il servizio elettrico spesso è assente anche intere giornate, questo alimenta il timore della popolazione che non si sente sicura e si aggiunge al tasso di estrema povertà che continua a crescere senza sosta.

Era il mese di luglio quando don Attilio Stra, missionario salesiano da 45 anni ad Haiti, ci scrisse un paio di messaggi poco dopo l’omicidio del Presidente Jovenel Moïse, ucciso nella sua casa la notte del 6 luglio. “Sono al Cap-Haitien ed è tutto troppo calmo (prima della tempesta?). Banche, botteghe chiuse, mercato vuoto, strade quasi deserte. C’è senso di paura e di aspettativa, cosa accadrà? Qui alla Lakay, opera per i ragazzi di strada, siamo senza elettricità da giorni e con pochissimo carburante…”

Purtroppo oggi la situazione è praticamente la medesima.

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