La patagonia, terra di sogno

Inutile opporsi al sogno di Don Bosco! I salesiani imbarcati nel 1875 alla volta delle Americhe non dovevano fermarsi nella capitale dell’Argentina , fra i discendenti vecchi e nuovi degli Europei: la visione avuta a Valdocco parlava espressamente di popoli nativi sottoposti a un’invasione cruenta. A loro doveva arrivare la Buona Novella, protezione dalla violenza subita e soprattutto preservazione dallo sterminio.

Don Giovanni Cagliero era sicuro del fatto che di problemi, a cui l’aiuto salesiano fosse prezioso, ce n’erano già tanti a Buenos Aires: la povertà degli emigrati, l’assenza di scuole abbordabili alle loro tasche, la necessità di non perdere anch’essi la loro eredità culturale e spirituale. L’essere uno dei prediletti a Valdocco e un compaesano del fondatore gli consentiva di avanzare dubbi e controproposte: tutte comprensibili, ma insufficienti a far cambiare il grande piano di Don Bosco.

Il pur intraprendente Cagliero che sarebbe diventato una figura decisiva per tutta l’America latina e per la Chiesa intera, fino ad essere elevato a cardinale  ubbidiva puntualizzando: “Le ripeto però che a riguardo della Patagonia non bisogna correre con velocità elettrica, né andarci a vapore, perché a questa impresa i salesiani non sono ancor preparati”.

L’energia che muoveva la compagnia era quella incarnata da persone come don Giacomo Costamagna e altri 26 confratelli. Mentre questi ancora tentavano di insediarsi a Carhué nella Pampa, Don Bosco già trattava con “Propaganda Fide” di aprire un Vicariato nella città di Nuestra Senora del Carmen, a cavallo dell’estuario del Rio Negro, 400 chilometri più a Sud.

I due insediamenti sorti un secolo prima su versanti opposti  Carmen a nord, Viedma a sud  formano una importante città portuale. Non si può dire che Don Bosco avesse visto male: è infatti lì che don Cagliero sarebbe diventato vescovo ed è lì che fu inumato (dopo la prima sepoltura a Roma) nella cattedrale dedicata alla Madonna del Carmine.

Un’emozione particolare ha accompagnato la visita di Missioni Don Bosco in questa città speciale, e in particolare quella del presidente don Daniel Antunez  la cui vocazione salesiana ha le sue radici proprio nell’azione dello spirito avventuroso ma prudente di don Giovanni Cagliero  quando ha potuto accarezzare la tomba del cardinale.

Padre Pedro Narambuena, direttore della comunità salesiana di Viedma  Carmen de Patagones, è stato ricco di informazioni sullo sviluppo della prima missione in quella terra che ha il sapore di una frontiera geografica e culturale. Lui stesso porta il sangue europeo e quello del popolo Mapuche: gli occhi ne sono il segno esteriore più vivido. Ma lo è anche la passione con la quale ci ha parlato di Zeferino Namuncurà, il figlio dell’ultimo grande cachico delle tribù indios araucane, che fu accolto come “aspirante” a Viedma da don Giovanni Cagliero. Ci mostra la semplicissima e consumata cassetta di legno nella quale fu dapprima conservato il corpo del Beato, fino a che questo fu portato a Fortín Mercedes per la destinazione definitiva in mezzo alla sua gente. Zeferino fu conquistato dal carisma di Don Bosco, ma in questo  che si percepisce come un luogo lontano dalle grandi correnti economiche e culturali  lo Spirito Santo ha davvero soffiato forte. 

Una generazione dopo, è giunto qui con la sua famiglia un migrante dall’Italia povera che si sarebbe posto in totale obbedienza al servizio per i più sfortunati, malati e pove­ri che bussavano all’ospedale fondato dal salesiano medico padre Evasio Garrone. Si tratta di Artemide Zatti, riconosciuto come modello di santità da papa Francesco. Anche di questi, padre Pedro parla con sincero affetto oltre che con grande competenza, essendo stato il Vicepostulatore della sua causa di canonizzazione.

Del santo coadiutore, Missioni Don Bosco ha sentito vibrare intensamente l’esempio e la continuità nell’incontro con i numerosi laici che animano il museo di Viedma, che conserva la memoria dell’ originaria presenza salesiana in Patagonia e del successivo avvicendarsi dei confratelli presbiteri e laici. Abbiamo avuto la fortuna di incontrare fra loro due fra i discendenti della famiglia Zatti: volti buoni e trasparenti di serenità, segno della continuità di uno stile umile e attento al bisogno altrui, divenuto quasi una caratteristica genetica. A corroborare questa impressione è scoprire che in questo tronco si sia innestata la buona vita cristiana di un altro ceppo: per comunanza di origine emiliana e di destino “patagonico”, la famiglia Zatti si è infatti imparentata con la famiglia Vecchi. Il settimo e ultimo figlio di questa si chiamava Juan Edmundo Vecchi: divenne salesiano, fu ispettore in Patagonia e poi consigliere per la regione Argentina-Brasile-Uruguay-Paraguay. Fu scelto dal Ret­tor Maggiore don Egidio Viganò come suo vicario e gli succedette nel 1996: come per ricongiungere in una sola persona cent’anni dopo i ruoli che ebbero don Michele Rua per l’Europa e don Giovanni Cagliero per l’America.

Un pensiero che stordisce chi osserva i fili che legano inscindibilmente fra loro le tessere del grande mosaico della storia salesiana.

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