La mia prima volta in Africa – Diario di viaggio in Congo

Prima parte dei diari del viaggio missionario in Congo


Venerdì 05 agosto, Torino

I giorni prima della partenza sono stati densi di preparativi poiché la settimana precedente mi sono dedicato ai miei esercizi spirituali annuali. La vita non è un caso: oggi penso ai quei giorni dedicati alla preghiera come un dono per vivere con intensità e apertura ciò che sarebbe avvenuto nel mio primo viaggio missionario in Africa. Un’occasione per scoprire la grandezza del carisma salesiano incarnato in questa parte sconosciuta del mondo, l’Africa. La densità di popolazione, la realtà della povertà, la diversità culturale e i progetti in corso hanno motivato la mia scelta, sicuramente accompagnata dalla curiosità di conoscere come vivono e operano i Figli di Don Bosco e incontrare i beneficiari delle nostre missioni. Uno dei motivi che ero sicuro avrebbe fatto battere il mio cuore a un ritmo diverso, che può essere spiegato solo da chi una volta ha avuto modo di vivere e condividere il tempo insieme ai fratelli africani.

La mia prima destinazione sarà Kinshasa, la capitale della Repubblica Democratica del Congo. Come dico sempre, grazie alla fiducia e al contributo dei benefattori, piccoli o grandi che siano, noi di Missioni Don Bosco possiamo essere un mezzo per chi ha poco o niente, un mezzo per chi può sognare un futuro diverso. Non sono andato da solo, né mi sono sentito solo: sono stato accompagnato da un gruppo di lavoro e da ognuno di voi, ho sentito di aver fatto questo viaggio rappresentando ognuno di voi, che siete e fate parte di questa grande famiglia che è Missioni Don Bosco.

Sabato 06 agosto, Congo – Kinshasa

Dopo quasi un giorno di viaggio con scalo in Etiopia ad Addis Abeba, in compagnia della nostra fotografa Ester, siamo arrivati a destinazione, a Kinshasa. Don Ghislain ci aspettava con altri salesiani della comunità. Appena ritirati i bagagli, siamo partiti per l’opera salesiana che si trova nella periferia della città.

Durante il viaggio alcuni aspetti hanno iniziato a richiamare la mia attenzione: il movimento di tante persone che camminavano lungo le strade, tanti veicoli, una distesa infinita di bancarelle, motociclette, persone che portavano grandi fagotti sulla testa, furgoni che trasportavano persone, alcuni anche sul tetto… ho avuto l’impressione che da un momento all’altro qualcuno sarebbe potuto cadere. Clacson, grida, gente dappertutto, improvvisamente sento che l’autista dice: – Questo è il Congo! -, come se ci accogliesse. Ho provato a fare delle foto, ma la verità è che in quel momento sono stato sopraffatto dal desiderio di catturare visivamente ciò che stava accadendo fuori dal veicolo. Il cuore iniziava a battere sempre più forte, sembrava instancabile, meravigliato, sorpreso. Dovevo solo tacere e lasciarmi commuovere da tutto ciò che stavo ricevendo attraverso i sensi.

La casa provinciale era in periferia, lì si trovavano le persone più povere e bisognose. Mi ha colpito come testimonianza evangelica che lì sono molto vicini ai bisogni della gente, sanno cosa accade intorno a loro e hanno una casa austera, semplice e con un bel giardino. Era chiaro che avessero fatto del loro meglio per riceverci e farci sentire i benvenuti. C’era un’atmosfera accogliente, ci hanno fatto sentire a casa.

Una volta arrivati abbiamo pranzato con la comunità. Fin dai giorni prima del viaggio sapevo che avrei dovuto adeguarmi a un nuovo regime alimentare, orari, usanze tipiche della cultura del luogo, ed è così che è andata. Dopo ci hanno invitato a vedere una partita di calcio che si giocava nei campi dell’oratorio, era la finale di un campionato, è stato emozionante! Al suono finale dell’arbitro si è scatenata una grande festa con applausi e canti. Questo è stato il mio primo contatto diretto con i ragazzi del posto: ce n’erano tanti – mamma mia, quanti erano! A poco a poco si sono avvicinati, io mi sono avvicinato, alcuni mi hanno guardato incuriosito quasi con sospetto, finché un ragazzo mi ha chiesto chi fossi e cosa ci facessi lì. Mi sono presentato dicendo che ero argentino, dello stesso paese di Lionel Messi, è un nome che non manca in questo tipo di eventi. Poi non sono mancate le domande, le richieste, mi sono sentito molto in mezzo a loro. La fiducia stava crescendo, alcuni mi hanno fatto un gesto e mi hanno chiesto dei soldi, poi i salesiani mi hanno detto che ogni volta che vedono una persona da fuori pensano che sia ricca e potente.

Alle 16 ci siamo incontrati sotto degli alberi con un gruppo di mamme, erano una settantina. Con loro durante il periodo del covid abbiamo avviato un progetto che prevedeva la realizzazione di alcuni orti, sia per sfamare le famiglie del luogo sia per permettere loro di vendere ciò che producevano. Abbiamo fatto insieme un giro e ho fatto due chiacchiere con loro, mi hanno raccontato di cosa avevano bisogno per continuare a migliorare la produzione di frutta e verdura. La rete idrica è scarsa, non hanno l’impianto di irrigazione, devono innaffiare manualmente. Hanno bisogno di fertilizzanti, scarpe, annaffiatoi, pale… Potrei elencare tante altre cose. Apprezzo molto il lavoro, lo sforzo, il desiderio che mettono nel realizzare questo spazio che funge da sostegno per molte famiglie. Abbiamo concluso il nostro incontro pregando e cantando insieme. La prima notte sono andato a riposare esausto tra la stanchezza del viaggio e i primi incontri… basta per oggi, il giorno dopo mi aspettava una giornata intensa.

Domenica 07 agosto

Mi sono alzato alle 5:30 per la Santa Messa, la mia prima partecipazione a un’Eucarestia di rito congolese. La chiesa è vicina, siamo andati a piedi. I marciapiedi e le strade erano già pieni di gente.  All’aperto vendono di tutto e offrono ogni genere di cose: cibo, fazzoletti, vestiti, acqua, frutta, c’erano così tante bancarelle che non so quanto avrebbero potuto vendere in un giorno. La Messa inizia con la danza, la gioia, il canto: solo ascoltando la musica e quelle voci il corpo inizia a muoversi da solo senza doverlo mettere in movimento. È una bella sensazione, cantano, battono le mani, il tutto con grande sobrietà e rispetto. La festa è durata quasi tre ore, ma non ti accorgi che il tempo passa. Non c’è tempo per perdersi o sentirsi esclusi, c’è sempre un gesto, una parola, un movimento che ti fa sentire parte della festa. È stato un bel momento per celebrare e ammirare una grande festa. Era molto tempo che non celebravo l’Eucaristia come una vera festa.

Dato che avevamo qualche ora libera nel pomeriggio, siamo usciti per un piccolo giro, ma siamo rimasti incastrati nel traffico. Se vuoi arrivare puntuale in un luogo devi essere molto lungimirante e partire con largo anticipo quando il grande movimento non è ancora iniziato. Insomma, siamo stati quattro ore in macchina senza arrivare da nessuna parte, prendendo parte all’intero pantano del traffico di veicoli e di persone.

Lunedì 08 agosto

Mi sono alzato alle 5 per celebrare la Messa prima di partire per andare a visitare la comunità di Mbuji Mayi. Il volo è partito con quattro ore di ritardo, ore caotiche con lamentele e spinte, nessuno ci ha dato informazioni sullo stato del volo. Dopo un’ora e un quarto siamo atterrati. All’arrivo ci hanno chiesto i passaporti, che siamo riusciti a recuperare solo dopo più di due ore. Non avevamo ancora pranzato. Ogni volta che devo spostarmi da un luogo all’altro sono sempre avvolto dalla curiosità, dall’ansia, dal senso di andare nell’ignoto, ma l’attesa mi accompagna. Tante emozioni mi hanno accompagnato per tutto il viaggio e mi hanno fatto pensare a quanto siano misteriose le vie di Dio.

Il direttore della comunità don Joaquin ci aspettava fuori per accoglierci, è stata bellissima quella stretta di mano forte e calorosa, mi ha fatto sentire a casa. Poi abbiamo lasciato l’aeroporto, era già buio. Lungo la strada, vedendo così tanta oscurità, ho chiesto a Joaquin spiegazioni, sapendo che noi siamo abituati ad accendere o spegnere la luce quando vogliamo senza pensarci. La sua risposta è stata: -Dei quattro milioni di persone che vivono qui, solo il 20% ha elettricità e acqua-. Ho iniziato a prestare più attenzione e a vedere persone che camminavano nel buio, altri che vendono i loro prodotti.

Arrivando nel luogo dove abitano i salesiani ho notato che si trattava di un luogo al di fuori di quello che si può dire il centro. Ci hanno sistemati nelle stanze, abbiamo cenato con la comunità e sono andato a riposarmi, aspettando l’alba per alzarmi ed entrare in azione; ero un po’ ansioso di iniziare a girare e conoscere il luogo, le persone, incontrare i ragazzi.

Padre Daniel Antúnez


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