Il “sogno” era a portata di mano, o così sembrava guardando la cartina geografica. I salesiani giunti nella capitale dell’Argentina dovevano attraversare una frontiera ed entrare nella selvaggia e inesplorata Patagonia: Don Bosco avrebbe letto, nelle missive che costantemente gli arrivavano da don Giovanni Cagliero, che i nativi avrebbero potuto incontrare presto la fede cristiana. C’era tuttavia un problema più che serio: il governo di Buenos Aires aveva deciso – tre anni dopo l’arrivo dei salesiani – la conquista militare di quel territorio, considerato nella descrizione ufficiale poco più che desertico, mentre era casa e habitat di diverse popolazioni indigene: i Tehuelche (chiamati anche Patagoni), gli Alacaluf (o Kawesqar) e alcuni raggruppamenti di Mapuche; più a Sud, nella Terra del Fuoco, i Selknam (o Ona) e gli Haush (o Mannekenk).
Da un lato, l’espansione dell’Argentina procurava l’accesso diretto, dall’altro poneva come premessa un danno irreversibile ai nativi. Problema di coscienza grave, e causa di pregiudizio nei confronti dei missionari al seguito delle truppe. Don Bosco aveva parlato della lotta impari fra bianchi armati e indios incapaci di resistere all’invasione…
Occorrono nuovi “operai del Vangelo” e da Valdocco si stenta a raggiungere il numero ideale di partenti: dopo le prime due spedizioni in Sud America, nel 1878 – quando mancavano due mesi al Capitolo Generale – si riescono a trovare idonei e disponibili solo ventiquattro fra Salesiani e Salesiane. Inoltre, per la morte da eccessivo affaticamento, si piange ancora la perdita di don Baccini, rimasto fino all’ultimo alla Mater Misericordiae di Buenos Aires ad alimentare la presenza salesiana fra le famiglie della zona portuale. Si percepisce di aver raggiunto un limite e che occorra un prudente slancio per giungere a coronare il sogno della Patagonia per soddisfare quello che l’anno successivo sarebbe diventato il dovere di accogliere la richiesta del vescovo di Buenos Aires, monsignor Aneiros.
Nel nuovo gruppo di missionari sono presenti don Giacomo Costamagna e suor Angela Vallese, Figlia di Maria Ausiliatrice: due figure che daranno ulteriore coraggio alla presenza salesiana. Postosi al seguito del generale Julio Argentino Roca, don Costamagna gioca di anticipo sull’armata degli invasori, e varca anticipatamente la linea del fronte per andare dai nativi a spiegare come l’intenzione dei missionari fosse ben distinta da quella della politica del Governo argentino.
La strategia dei salesiani si adattò alle situazioni e trovò l’approdo più lontano nella zona di Rio Grande, nella Terra del Fuoco, dove costruirono un primo nucleo abitativo. Dopo un allagamento e un incendio delle loro capanne di legno, non si scoraggiarono né per questi eventi né per l’ostilità dell’ambiente naturale, fatto di un vento costante che non permette la crescita degli alberi e di trovar riparo dalla temperatura gelida. Il fulcro divenne la cappella dedicata alla Madonna della Candelora (Candelaria in castigliano), e la ragione del permanere la volontà di proteggere i Selknam dall’assalto dei conquistatori. Soprattutto le suore, delle quali don Costamagna era stato direttore spirituale a Mornese, svolsero un’opera di accoglienza delle donne, adulte e giovani, sopravvissute allo sterminio dei loro uomini durante i combattimenti.
Con don Costamagna giunse dall’Italia anche don Giuseppe Fagnano, che sarebbe stato protagonista di un ulteriore balzo verso il Sud, all’estremità del continente: quella fin del mundo che è diventata sinonimo di lotta quotidiana contro i limiti imposti dalle condizioni climatiche ma anche frontiera dell’evangelizzazione.
La storia salesiana in Patagonia si sviluppò fino a raggiungere le vette dell’eroismo umano e della santità cristiana. Ancora oggi, le esplorazioni di don Fagnano, e quelle più estese e note di don Alberto Maria De Agostini, mostrano l’attenzione etnografica e naturalistica dei salesiani, divenuti portatori di competenze scientifiche e formative a beneficio dell’intero Sud America. Ancora di più: i semi gettati dai missionari hanno portato a una adesione al cristianesimo fatta di rispetto delle culture originarie, con le quali si sono formate relazioni feconde, e di espressione di pietà nelle diverse forme dell’educazione e del sostegno materiale. A questo proposito, è ancora forte fra i Mapuche la devozione per Zeferino Namuncurà e Laura Vicuña, giovani “conquistati” positivamente dall’esperienza salesiana. Così come, più recentemente, la canonizzazione di Artemide Zatti ha confermato e risvegliato la bontà del servizio nelle periferie a beneficio dei più poveri.
La delegazione di Missioni Don Bosco che lo scorso anno, in vista del 150° della prima partenza missionaria, ha visitato tutti quei luoghi ha potuto constatare la vitalità e l’adattamento che i Figli di Don Bosco ancora praticano in Patagonia. Guidato dal presidente don Daniel Antúnez che di fatto è “figlio” di quelle spedizioni missionarie, è stato ancora più emozionante constatare in quel viaggio come sia cresciuta la stima per la presenza salesiana. Gli attuali Governatore e Sindaco di Rio Grande sono ex-allievi della Scuola di Scienze Agrarie che si è sviluppata nella stessa area dell’insediamento dei primi missionari. Numerosi laici collaborano nella gestione della stessa Scuola e del Museo che raccoglie materiali e il ricordo ancora vivo dei “pionieri”.
Poco distante dalla missione c’è uno spoglio cimitero che conserva le ossa recuperate dalle battaglie e quelle dei primi salesiani, la cui patria era diventata quella, a celebrare un legame indissolubile nel tempo.
– Don Bosco