Ubuntu, una parola per mettere insieme i diritti di individuo e comunità

Anche nelle tradizioni culturali dell’Asia quando si considera una persona non si può prescindere dall’insieme di cui fa parte. Ci sono poi ideologie che in tutti i continenti hanno dato forma a entità collettive che mettono in primo piano la società come regolatrice delle libertà di ciascuno. Alcune di queste visioni possono portare all’annullamento dell’individualità, fenomeno che in Europa percepiamo come pericolo assoluto.

La Dichiarazione universale dei diritti umani – fortemente voluta del mondo occidentale anche come risposta epocale alla Seconda Grande Guerra – fa riferimento all’individuo come cellula della società al quale va data piena tutela sempre e ovunque, anche opponendosi alle “ragioni di Stato”.  Questa visione a sua volta può portare a quell’individualismo estremo che giustifica ogni libertà, fosse pure a discapito dei rapporti sociali che – vediamo – genera diseguaglianze radicali ed esclude di fatto intere fasce di persone nei singoli Paesi e interi Paesi nelle relazioni internazionali.

Occorre identificare il punto di equilibrio e soprattutto tradurlo in azione, come è successo a fatica con la progressiva ratifica della Dichiarazione universale da parte delle diverse nazioni e l’elaborazione delle altre Dichiarazioni che ne sono figlie: quelle sui rifugiati, sulle donne, sui bambini.

Nelle nostre culture dobbiamo senz’altro rimodulare i “diritti” secondo una visione più attenta alle condizioni di vita delle popolazioni povere.  A metterci con i piedi per terra sono i nostri missionari: padre Filippo Perin ha risposto alla nostra richiesta di aiutarci a capire cosa voglia dire concretamente rispettare i diritti umani nella sua “periferia del mondo”.

“Ogni mattina molte donne vengono a chiedere non tanto dei soldi, ma del cibo, sono donne che non avendo sufficientemente da mangiare non hanno neppure il latte da dare ai loro bambini appena nati e allora ci chiedono di comprare del latte in polvere, per sfamare almeno per un po’ di tempo i bambini piccoli, oppure altre donne, soprattutto anziane, vedove o lasciate dal marito, che hanno bambini o ragazzi da crescere ci chiedono dei sacchi di grano per sfamare la famiglia.

Infine altre che hanno il grano ma non hanno del sugo o della verdura da mettere sopra, da accompagnare con alla polenta. Infine anche chi ci chiede delle medicine oppure dei soldi per poter andare all’ospedale, ci chiede insieme del cibo, abbiamo imparato che anche se hai la medicina giusta ma non hai cibo sufficiente per sostenerti, la medicina serve a poco.”

Il diritto di vivere. Di sopravvivere, in certi casi. Chi lo garantisce, e come? Come vive una grande parte del genere umano oggi? Quando parliamo di diritti, abbiamo presente “gli ultimi”? cosa condividiamo della loro vita?

“Quando ti invitano ad un banchetto vai a metterti all’ultimo posto.”: questo è ciò che Gesù stesso fece partecipando al banchetto della vita, e lo fece fino alla morte. Venne a Nazareth, luogo della vita nascosta, della vita ordinaria, della vita di famiglia, di preghiera, di lavoro, di oscurità, di virtù silenziose, praticate senza altri testimoni che Dio, i suoi parenti e amici più stretti; il luogo di quella vita santa, umile, benefica, oscura, che è la vita della maggior parte degli esseri umani.”

Non dobbiamo sminuire il valore delle affermazioni di principio e non dobbiamo minare la capacità di imporsi delle buone politiche e delle regole giuridiche che ne derivano; sicuramente dobbiamo operare perché queste corrispondano al miglior bene comune possibile, iniziando da un affinamento della nostra comprensione della natura umana.

Non è secondaria poi l’utilizzazione delle parole nel modo giusto e, quando mancano, coniare quelle nuove: come ha fatto un amico che ha lanciato l’idea di un nuovo pronome, “ionoi”, che dovrebbe essere capace di esprimere il punto di vista di un soggetto in cui coesistano l’ “io” e il “noi”. Forse quello stesso pensiero che sta nella antica parola “ubuntu”.

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