Padre Crisafulli: in prima linea contro la prostituzione minorile

A volte si dice che per risolvere un problema non si deve parlare ma “fare”, e basta. Nel caso dell’opera Don Bosco Fambul (famiglia) a Freetown in Sierra Leone, se non si “parla” mentre si fa, non si costruisce la risposta a un problema.

Ce lo dimostra padre Jorge Crisafulli, salesiano, argentino (è nato in Patagonia, ci tiene a sottolineare), che è stato ospite di Missioni Don Bosco per due giorni, il 25 e 26 febbraio scorso. In Africa è responsabile del centro che accoglie ragazzi di strada nella capitale. Da tre anni ha esteso questo servizio alle ragazze, andando a cercarle nei mercati e al porto, vittime dell’abuso del loro corpo. Una sera ne incontrò un gruppo: sette bambine (la più piccola aveva 9 anni) e adolescenti (la più grande 15) e fece loro una semplice domanda e una proposta: “Vi rendete conto dei pericoli che correte? Venite al Don Bosco Fambul, possiamo aiutarvi”.

La mattina seguente sei di loro si presentarono al Fambul e iniziarono il loro percorso: un piatto di riso, del quale alcune chiesero il bis tanta era la fame arretrata, visite sanitarie, cure. ospitalità. E rispetto. La guerra civile fra il 1991 e il 2002 e l’epidemia di ebola del 2014-15 hanno falciato e disperso le famiglie. La povertà ha fatto il resto. Come per Augusta, la bambina che da qualche mese accompagna il salesiano a denunciare i mercanti che in tutto il mondo tengono sotto schiavitù 260 milioni di persone, di cui la gran parte (150 milioni) sono donne. Quando nel suo villaggio si trovò da sola e senza alcun aiuto, una donna le propose di andare a lavorare per lei nella grande città. L’impiego consisteva nella vendita di bottigliette d’acqua; se la sera l’incasso non c’era tutto o era comunque scarso, venivano le punizioni anche corporali e le minacce. Una fuga per difendersi da questa, portò Augusta in un’altra schiavitù: quella dei tenutari di bordelli che hanno molti clienti – anche stranieri – che chiedono ragazze minorenni per ottenere il loro piacere sessuale. Un euro a incontro, la metà se si usa il preservativo. Dato il prezzo, è facile che ogni sera per quattro-cinque volte una di quelle ragazze rischi di essere infetta da Hiv, gonorrea, sifilide.

Al Don Bosco Fambul sono passate fino ad oggi 356 giovani donne in quelle condizioni. Solamente per 8 di esse la proposta non ha avuto successo, ma per tutte le altre si è realizzato o si sta realizzando un percorso di ritorno a una vita dignitosa. Corsi di formazione in sartoria, in parruccheria, in cucina per apprendere un lavoro spendibile. Augusta ora è in procinto di aprire un suo piccolo ristorante.

Padre Crisafulli governa il Don Bosco Fambul con coraggio anche di fronte alle minacce di morte dei trafficanti di donne: “C’è Maria Ausiliatrice che ci protegge” dichiara. E non esita a mettere le autorità amministrative e di polizia di fronte alle loro responsabilità.  In più è impegnato a diffondere informazioni su quanto accade alle ragazze di Freetown: è stato due volte ospite dell’Onu e altrettante del Parlamento europeo, ha testimoniato pubblicamente in 18 città spagnole, a Malta e – dopo Torino – è andato all’udienza di papa Francesco. Raccolta di solidarietà civile, di preghiere, di aiuti economici per sostenere il progetto. Ma anche azione politica perché siano progressivamente rimosse le cause di questa schiavitù. Il capo della polizia della Sierra Leone ha diramato una circolare a tutti gli agenti perché non maltrattino le ragazze, non sequestrino i loro pochi soldi, non ne abusino essi stessi come purtroppo è successo in alcuni casi. Organi giudiziari e legislativi hanno accelerato la celebrazione dei processi, e oggi nel 90% dei casi i clienti sono condannati a 15 anni di reclusione, con la possibilità di vedersi comminato l’ergastolo poiché nel caso di abuso di minori non è prevista alcuna attenuante. Sono alcuni degli effetti della campagna di sensibilizzazione internazionale che padre Crisafulli sta sostenendo con l’appoggio dell’intera famiglia salesiana, presentando anche il racconto che del suo progetto ha fatto il regista spagnolo Raul de la Fuente con il film “Love”.

“Perdere” tempo per informare può cambiare le cose quanto il “fare e basta”.

 
 

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