Ognuno dà quel che possiede e ottiene ciò di cui ha bisogno

Viaggio Missionario in Madagascar –  seconda parte

Siamo alla seconda tappa del nostro viaggio in Madagascar.

Abbiamo preso l’aereo e siamo scesi dal clima fresco dell’altipiano, dove ha sede la capitale (ad oltre mille metri di altitudine, la temperatura era mite e primaverile ad Antananarivo), al sud del Paese, a Tulear. La città è adagiata sulla pianura che si affaccia sul Canale di Mozambico, proprio al tropico del Capricorno: qui ci ha accolti un caldo afoso a oltre 35 gradi di temperatura.

Nel viaggio guardavo dall’alto questa grande isola, che non è Africa ma nemmeno Asia, è…. Madagascar! per la sua vegetazione lussureggiante i navigatori dei secoli scorsi quando la vedevano da lontano sulle rotte dell’Oriente la chiamavano l’Isola Verde. Ora invece la chiamano l’Isola Rossa per il colore della terra selvaggiamente disboscata: ai nostri occhi appare come un enorme deserto arido oppure, dove va bene, come una savana aspra. Senza alberi, i venti forti che da queste parti spesso si trasformano in cicloni, hanno buon gioco non trovando ostacoli; aumentano d’intensità sino a distruggere tutto quello che incontrano sul loro cammino. Portano con sé piogge torrenziali, che non trovando radici di alberi ad assorbire l’acqua e a trattenere la terra, favoriscono alluvioni devastanti.

Il Madagascar oggi è una povera terra martoriata, depredata dall’Occidente avido di materie prime (tradizionalmente minerali come grafite, cromite, mica, oro, pietre preziose; recentemente petrolio) e dagli stessi abitanti del luogo che abbattono gli alberi per farne carbone da vendere. Cosa stiamo lasciando in eredità ai nostri figli? La madre terra continua, come ogni madre, a soffrire e a donarsi in silenzio, fin che ce n’è. Ma se non cambiamo presto il nostro comportamento saremo noi i carnefici di colei che ci nutre e ci sostenta.

Chiesa oratorio scuola: la combinazione vincente salesiana

A Tulear i salesiani hanno una parrocchia con una chiesa bellissima e grande che accoglie tremila persone. Fa venire la pelle d’oca partecipare alla Messa solenne della domenica (alle 6,30 del mattino quando la temperatura è ancora accettabile: sarebbe improponibile celebrarla più tardi). La chiesa è gremita di giovani, di papà e mamme con i bambini. Una compostezza ed una partecipazione degne di una visita papale. I canti poi sono emozionanti perché cantano tutti, a più voci, perfettamente intonati. La coralità del canto ti vibra dentro, ti senti coinvolto e parte di questa comunità, anche se non capisci una parola di quello che dicono. Eccezionale!

Oltre alla parrocchia c’è un bell’oratorio per i ragazzi della città, frequentato il mercoledì pomeriggio (unico giorno in cui la scuola non fa il tempo pieno ma solo lezioni mattutine) e poi il sabato e la domenica. Ragazzi ovunque, di tutte le età. Cortile gremito, gruppi formativi traboccanti di giovani: un’altra Valdocco!

Una meritevole attività si svolge negli spazi dell’Oratorio quando non ci sono attività ricreative: è la scuola di recupero deli anni scolastici per i ragazzi poveri che a sei anni non sono stati iscritti alla scuola primaria e rischiano l’analfabetismo. Si tratta di circa 150 bambini e bambine (divisi in tre classi di 50 allievi ciascuna) che vengono preparati in un triennio, privatamente, a sostenere l’esame per accedere alla scuola secondaria. C’è poi il grande centro di formazione professionale per ragazzi (meccanica, elettrotecnica, falegnameria, edilizia) e per le ragazze (cucina e sartoria), frequentato da 250 allievi. L’80% di questi giovani trova un lavoro al termine dei corsi di qualifica professionale: che bella soddisfazione!

A circa settanta chilometri da Tulear in aperta campagna c’è un’altra opera salesiana, nella cittadina di Ankililoaka. Qui sono attive una grande parrocchia con oratorio festivo, la scuola dalla primaria al liceo con 800 allievi, e una radio che trasmette solo per qualche ora al giorno perché la corrente elettrica qui è un lusso che ci si può permettere per poco tempo, spesso ricorrendo al generatore a gasolio.

I temi dell’acqua potabile e dell’energia elettrica sono due questioni aperte in tutto il Madagascar.

L’acqua potabile è abbondante nel sottosuolo, basta scavare un pozzo. Ma chi si può permettere di pagare la trivellazione? E poi come estrarre quantità sufficienti per scuole e attività formative che coinvolgono centinaia di ragazzi? Servono una pompa potente e un grosso serbatoio sospeso – lo chateaux d’eau, “castello per l’acqua” come lo chiamano in francese – che grazie alla sua altezza (dieci metri da terra è l’ideale) faccia arrivare l’acqua ai rubinetti per caduta naturale. Ma come alimentare la pompa elettrica se non c’è l’energia, o se questa arriva solo per qualche ora al giorno? La soluzione è semplice ed ecologica: siamo in un Paese in cui il sole splende sempre per undici mesi e mezzo l’anno. L’energia solare con un pannello collegato alla pompa idraulica alimenta di giorno l’estrazione di acqua, che grazie all’accumulatore sopraelevato viene distribuita gradualmente secondo il bisogno anche di notte.

Un kit completo per la perforazione del pozzo, per la collocazione della pompa (non di marca cinese che sarebbe a buon mercato ma non durerebbe nemmeno un mese), per la costruzione del castello sopraelevato sul quale installare la cisterna, per i pannelli solari che diano energia alla pompa, costa circa 20 mila euro. Con questa somma una comunità parrocchiale, un oratorio salesiano, una scuola o una comunità salesiana insieme sono in grado di essere autosufficienti quando a fabbisogno di acqua. Siamo nell’anno santo della Misericordia e il nostro Papa Francesco ci ha sollecitati a compiere le opere di misericordia corporale: dar da bere agli assetati è una di queste.

La comunione dei Santi vista da vicino

A Tulear il direttore dell’opera salesiana è un prete veneto, una vocazione adulta. Ha deciso di farsi prete salesiano a 25 anni, quando già lavorava in fabbrica da 10 anni. Licenziarsi a 25 anni e rimettersi a studiare per recuperare la scuola superiore e poi tutto il cammino formativo fino al sacerdozio richiede un impegno e una fatica non banali. Don Maurizio Rossi è da 26 anni missionario. Si muove in terra malgascia e fra la popolazione locale con estrema naturalezza. Attento organizzatore, concreto nella soluzione dei problemi che deve affrontare per dirigere tutta questa grande opera (concretezza che gli viene proprio dagli anni di lavoro manuale prima di farsi salesiano) ci ha accolti con familiarità, ma subito ci ha mostrato tutti i bisogni che devono essere risolti nella sua Casa. Mi ha particolarmente colpito perché è un uomo generoso: non si è accontentato di mostrarci le sue necessità ma ci ha portati anche nell’altra opera salesiana di cui ho parlato prima, Ankililoaka, per farci conoscere i bisogni anche di quella.

Non basta ancora: mi ha parlato di un prete diocesano poverissimo, pieno di zelo pastorale, e mi ha supplicato di aiutarlo: così siamo andati a trovarlo e l’ho conosciuto di persona. È parroco da un anno in un’area periferica della città di Tulear. La sua chiesa è fatta di alcuni grandi alberi di mango sotto i quali celebra la Messa per i fedeli: in questo tempo ne ha radunati più di un centinaio. Vive in una baracca lì vicino. Ha ricevuto qualche piccolo aiuto e la prima cosa cui ha pensato, invece che di farsi la canonica, è di costruire una cappella per i parrocchiani.

L’ho incontrato accanto alle fondamenta di una costruzione di 12 metri per lato, con mattoni accatastati pronti per essere messi in opera. Tutto è fermo in attesa della Provvidenza. Ho domandato quanto ci vuole per costruire la chiesa e la casa del parroco e, ovviamente, dotarle di un pozzo alimentato ad energia solare: per la cappella servono circa 18 mila euro, altrettanti per il pozzo e l’accumulo di acqua. Per la casa del parroco altri 9 mila euro. In tutto 45 mila euro per una nuova comunità cristiana che nasce. L’ho ascoltato commosso per tanto zelo apostolico. Non gli ho promesso nulla, se non di cercare fra i benefattori qualcuno disponibile a fare questa donazione, intitolando la chiesa ad un proprio caro defunto (un familiare o una persona cara). Gli ho detto intanto di pregare la Provvidenza perché attraverso i benefattori si possa far presente. Mi ha risposto pronto che è da quando ha iniziato le fondamenta della chiesa che sta pregando per i bisogni dei benefattori. Questa è la Chiesa, questa è la comunione dei Santi: ognuno dà quello che possiede ed ottiene quello di cui ha bisogno!

Leggi anche, Mahajanga, una missione che diventa capace di camminare sulle sue gambe

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