“Incredibile India”: Don Silvio Roggia ci scrive dall’aeroporto di Delhi

Carissimi tutti,

vi scrivo da Delhi, seduto in aeroporto in attesa della connessione per il ritorno in Europa. 

‘Incredible India’: è una pubblicità che si vede spesso sulla BBC per incoraggiare il turismo. Credo colga nel segno. È davvero un paese incredibilmente interessante e sorprendente, per la sua storia, la sua grandezza, la varietà delle culture. Son capitato qui in un momento fortunato, anche se non scelto apposta. Son venuto per i 5 giorni di convegno dei delegati della formazione delle 12 ispettorie salesiane dell’Asia Sud, anticipate per me dalla visita alle case di formazione vicine ad Hyderabad.  

La fortuna è stata di poter celebrare con un miliardo e duecento cinquanta milioni di Indiani il 70° dell’indipendenza, dichiarata il 15 agosto 1947, vinta pacificamente grazie alla guida del grande Mahatma Ghandi. 

Quello che mi frulla per la mente però non l’indipendenza, ma il clima che ho incontrato fin dal primo giorno. Non parlo dei monsoni. Quando sono giunto alla casa ispettoriale (ndr: per i non addetti ai lavori: è il centro di coordinamento di un gruppo di case salesiane – una quarantina in questo caso, per una zona che conta più di 80 milioni di abitanti… incredibile India!) era in corso il congresso dei coordinatori ispettoriali degli ex allievi. Anche quelli sono numeri da capogiro. Soltanto nella ispettoria di Hyderabad, che celebra quest’anno il 25° della sua storia, più di 100.000 ragazzi di strada (YaR, come li chiamano qui, Youth at Risk) sono stati coinvolti in programmi di recupero, istruzione, avviamento professionale negli ultimi venticinque anni. Commovente la testimonianza di uno di loro, senza un braccio e con una gamba artificiale perché finito sotto un treno quando dormiva nella stazione da ragazzo. Oggi è lui, laureato, a dirigere un grande centro con decine di operatori sociali e educatori coinvolti.

Veniamo al clima. Un vero cambio climatico passando dall’aria che tira sui giornali in Europa in Italia in questi mesi e quella che si respira qui. Un buon gruppo di questi ‘presidenti degli ex allievi’ che coordinano una presenza molto attiva di questo ramo della famiglia salesiana in India e Sri Lanka non sono né cristiani né cattolici, come del resto non lo è la stragrande maggioranza dei giovani che fan parte delle nostre istituzioni. Eppure hanno il cuore di Don Bosco e sono generosissimi nel dedicarsi ai ragazzi, soprattutto ai più poveri, fornendo una rete importantissima soprattutto per l’inserimento nel lavoro di quelli che finisco i loro corsi professionali. Qui non ho numeri ma basti dire che la rete di scuole tecniche salesiane in India è la prima nel settore, in un paese che contiene più di 22 Italie come numero di abitanti.

Dunque è possibile lavorare insieme: Indù, musulmani, cristiani, buddisti e altri gruppi di cui non riesco neppure a ricordare il nome, e lo dico con vergogna perché è un indice preciso della mia ignoranza di chi sta al di fuori dal cerchio abituale dei miei rapporti.

Volentieri do subito scacco matto a tutte le attenuanti di chi forse potrebbe rispondere che questi sono così pacifici perché son cresciuti nelle case di Don Bosco. Usciamo dal compound salesiano e visitiamo Hyderabad, con il suo forte che racconta di almeno 6 secoli di storia passata, una vera cittadella fortificata che non credo abbia equivalenti in Italia come grandezza e maestosità, se si guarda la stessa epoca storica in cui fu edificata. É opera dei Sultani che a quel tempo regnavano su questa zona del paese. Oggi Hyderabad è cresciuta. Per darvene una idea: nel marzo del prossimo anno inaugureranno la metropolitana aerea che taglia dritta la città da un capo all’altro. È lunga 97 km e i 10 milioni di persone che vi abitano sono musulmani e indù per la maggioranza, più tanti altri gruppi, tra cui una vivace comunità cattolica, pur decisamente minoritaria rispetto al resto. Non sono insieme da qualche mese. Sono insieme da secoli. Certo, non senza le loro difficoltà nella storia e anche nel contesto attuale. Ma è innegabile che ciò che prevale è la convivenza pacifica e costruttiva, anche solo per la formidabile dimensione dei numeri: più di un abitante del pianeta ogni sette è indiano. 

Ho visitato templi indù e la più grande moschea della città: è chiaro che si tratta di visioni della vita e eredità storiche molto diverse. Le differenze si vedono dappertutto, con turbanti e burka, decorazioni sulla fronte e sulle braccia, capelli tinti color rame, bracciali e tanti altri segni che parlano di fedi e credenze diverse radicatissime nei costumi tanto quanto sono variopinte nelle loro manifestazioni, ovunque giri lo sguardo. Eppure questa diversità produce una sinfonia di cui tutti in qualche modo sono insieme artefici e beneficiari. 

Ciao, Silvio

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