Costruire la pace in Colombia con chi ha fatto la guerra

250.000 morti, 45.000 desaparecidos, 6.900.000 sfollati: è questo il bilancio della guerra civile tra Governo colombiano e Fuerzas armadas Revolucionarias de Colombia (FARC), durata 52 anni e conclusasi con un accordo di pace il 24 novembre 2016, ratificato a Bogotà il 30 dello stesso mese. Una delle eredità del conflitto più pesanti è quella del rientro in un regime di “normalità” dei combattenti più giovani, chiamati dalle Forze rivoluzionarie a imbracciare pistole e fucili fin dall’adolescenza: si stima che le FARC abbiano reclutato tra gli 8 e i 13 mila minori, maschi e femmine. Per molti di loro la scelta di arruolarsi non si può considerare tale: cresciuti in un contesto di emarginazione sociale e di assenza di tutela dei loro diritti fondamentali, non hanno avuto alternative. Le loro storie sono fatte di paura, di crudeltà e di intimidazioni. A guidare il processo di riconciliazione in Colombia è stato il nuovo Presidente Juan Manuel Santos, al quale venne assegnato il Premio Nobel per la Pace nel 2016 sia per premiare sia per consolidare gli sforzi suoi e degli altri attori in campo. Determinante fra gli altri il ruolo della Chiesa cattolica, che – nell’ambito di una inesauribile azione per favorire il dialogo – letteralmente portò al tavolo delle trattative a L’Avana la testimonianza dei civili sopravvissuti alle barbarie per mettere al centro la situazione e le attese della popolazione. Il ruolo della Chiesa è importante anche adesso per tessere relazioni di fiducia fra aggressori e vittime, alla luce dei lutti sofferti da ogni famiglia e il ritorno a casa di ex nemici fra i quali potrebbero esserci gli omicidi dei propri parenti. E poi ci sono le centinaia e centinaia di adolescenti e giovani di oggi che dall’età di 8-10 anni sono cresciuti nei campi militari e hanno subito un addestramento violento e cinico che li ha portati a compiere azioni di grande efferatezza. Va da sé che questi minori non hanno frequentato una scuola e spesso non conoscono la vita da civili. I salesiani di Medellin hanno l’incarico dal Governo colombiano di aiutare il reinserimento sociale di questi, partendo da una ricostruzione della loro condizione psicologica. Il programma di recupero integrale si svolge, sotto la protezione della polizia, nel centro Ciudad Don Bosco. Negli ultimi 15 anni, 1.500 fra ragazze e ragazzi di età fra i 14 e i 17 anni hanno potuto trovare la loro libertà interiore, acquisire una formazione professionale e affacciarsi nella società.
Missioni Don Bosco sostiene questa attività e ha chiamato a raccontarla ai suoi sostenitori  giovedì 15 marzo alle ore 17,30 a Torino. “Cicatrici di guerra. Matrici di pace” è il titolo  di un convegno che si terrà nella Sala Sangalli di Valdocco nel quale interverranno don Rafael Bejarano, direttore di Ciudad Don Bosco, centro salesiano di recupero e di riabilitazione nella città di Medellin, Jazmín, ex- ragazza soldato delle FARC accompagnata da Jovana Ruíz, incaricata dell’inserimento lavorativo e dei tirocini, Bruno Desidera, giornalista di AgenSIR specializzato sulla Colombia e Alessia Andena, referente del progetto di Medellin per Missioni Don Bosco. Presiederà l’incontro Giampietro Pettenon, Presidente di Missioni Don Bosco; modererà Elisabetta Gatto, antropologa di Missioni Don Bosco. L’incontro del 15 marzo è aperto al pubblico senza necessità di prenotazione, con la possibilità di avvalersi del servizio di baby sitting offerto dall’organizzazione. Poiché la gran parte dei nostri sostenitori non avrebbe modo di presenziare al convegno, questo sarà trasmesso in diretta streaming nella homepage del nostro sito a partire dalle ore 17,30 e prevedibilmente fino alle ore 20,00. Sarà possibile per loro intervenire a distanza con domande e osservazioni che potranno indirizzare alla casella direttaweb@missionidonbosco.org
L’introduzione al convegno è affidata al documentario “Alto el fuego”, guarda il video

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