Cosa significa fare educazione a scuola e non solo?

Quando ricominciano le scuole dopo le vacanze non posso fare a meno di pen­sare a quando, durante i miei anni in Pa­tagonia, questo era un momento che mi coinvolgeva in prima persona, perché fa­cevo l’insegnante e non vedevo l’ora che reiniziasse l’anno scolastico, per rivedere i miei studenti e conoscerne di nuovi. Per immergermi nuovamente nella meraviglio­sa atmosfera che solo una classe piena di giovani può creare. Per imparare da loro. Sì, perché nella relazione educatore-educato c’è sempre uno scambio di complicità.

Lui capisce me, io capisco lui. È un modo di met­tersi consapevolmente nelle mani dell’altro che aiuterà a costruire un rapporto basato sulla reciprocità: l’incontro tra due perso­ne, una che vuole essere aiutata e l’altra che aiuta, è per me uno dei modi migliori per fare un’esperienza educativa. Innanzi­tutto perché si crea un rapporto di empatia, un’apertura al prossimo; è un modo di met­tersi consapevolmente nelle mani dell’altro che ci aiuterà e lo scambio è reciproco: non è una relazione tra una persona forte e una debole, non è un rapporto tra chi sa di più e chi sa di meno, ma è una relazione alla pari, che coinvolge entrambe le perso­ne e le rende complici di un’esperienza che vogliono vivere insieme. Fare questa esperienza di comunione è fare educazio­ne. Poiché non c’è un detentore della veri­tà: solo quando c’è comunione di reciproci­tà, possiamo parlare di educazione.

Don Bosco era un Padre per i giovani – lo è ancora oggi, che voleva il meglio per i suoi figli e concretizzava il suo deside­rio attraverso l’educazione, dando loro gli strumenti per poter andare avanti nella vita. Per potersi integrare nella società, per po­tersi mantenere. Perché potessero avere un futuro attraverso gli strumenti dell’educa­zione, indispensabili per capire pienamente il mondo e farne parte attivamente… Ma lui in più dava loro una casa, dava loro cibo, dava loro affetto, sapeva chiaramente che un’educazione che desse solo degli stru­menti non era sufficiente, ma che doveva coltivare nei giovani la capacità di essere persone perbene, che potessero integrarsi nella collettività come persone buone, one­ste, cristiane, capaci di entrare nella società e di trasformarla. Quindi, non solo un’e­ducazione del singolo, ma un’educazio­ne che cerca un bene comune, un bene sociale. 

Per noi e per tutti coloro che oggi sentono il desiderio di educare; di essere educatori non solo in classe, ma anche nel cortile, a casa, al lavoro, ovunque ci capiti di essere, ricordate sempre che abbiamo una missione, quella di educare, di accompa­gnare, di aiutare, di servire con reciprocità per portare avanti l’eredità che ci ha lascia­to Don Bosco. Perché educare è cosa di cuore, ricordiamocelo sempre.

Buon inizio di anno scolastico, anche a chi ha smesso di andare a scuola, ma continua ad essere un educatore.

Padre Daniel Antúnez

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