Israele, Palestina: sulle orme dei Figli di Don Bosco

Viaggio missionario Israele e Palestina

A Nazareth

Siamo in viaggio nelle opere salesiane presenti in Israele e Palestina La prima opera che abbiamo visitato è a Nazareth, il villaggio (ora la città) di Maria. La coincidenza non può essere più felice. Siamo nel mese di maggio che dalla devozione popolare è consacrato al ricordo e alla preghiera alla Madonna. Di più, siamo nella settimana della Festa della Mamma. Vi rendete conto? Siamo andati a festeggiare la Madre celeste a casa sua. Nazareth è la città simbolo delle donne incinte, della vita umana che sboccia. Al pensiero che su quel terreno ha camminato, ha giocato, è cresciuta, ha conosciuto Giuseppe e l’ha sposato, fa venire i brividi.

Proprio nella parte alta della cittadina, visibile a chiunque arrivi dalla pianura di Esdrelon, noi salesiani abbiamo un bellissimo istituto scolastico. I quattro salesiani della comunità di Nazareth vengono da paesi diversi: il direttore è italiano, l’economo è indiano, l’incaricato dell’Oratorio è libanese e poi c’è un sacerdote spagnolo che sta imparando l’arabo per potersi inserire attivamente nella pastorale giovanile salesiana.

I salesiani gestiscono una grande e scuola con circa 500 studenti, che vanno dalla primaria al liceo tecnologico con diversi settori professionali. Gli studenti sono di nazionalità arabo-israeliana, in gran parte musulmani, e per la restante parte sono cristiani. È la migliore scuola di tutta la Galilea. Le iscrizioni sono sempre superiori ai posti disponibili, tanto che è necessaria una selezione all’ingresso. Gli studenti poi che terminano la maturità presso la nostra scuola vanno nelle più prestigiose università tecniche (soprattutto ingegneria) di Israele, e d’Europa, compreso il Politecnico di Torino.

È estremamente commovente sentire la testimonianza dei giovani, specialmente dei musulmani, che definiscono Don Bosco un “padre, maestro ed amico”.

A Betlemme

Anche noi come Maria siamo scesi dalla Galilea alla Giudea e ora ci troviamo a Betlemme. A Nazareth Maria concepisce il figlio e a Betlemme, nove mesi dopo, lo dà alla luce. A Betlemme siamo ospiti in casa salesiana. Una casa molto bella e particolare. Si tratta di un grande edificio tutto costruito in pietra bianca a metà dell’Ottocento, come orfanotrofio, da don Antonio Belloni. Era un prete diocesano originario della Liguria che si era trasferito per il suo ministero pastorale nel Patriarcato Latino di Gerusalemme e che, sensibile ai giovani poveri ed abbandonati, aveva iniziato a mettere in atto per loro le medesime attività che a Torino stava iniziando a fare anche Don Bosco.

Don Belloni raccoglie attorno a se’ altri sacerdoti che desiderano donarsi totalmente ai giovani orfani, ma sente parlare anche di Don Bosco e di quanto la congregazione salesiana inizia a svolgere non solo in Piemonte, anche in Francia, Spagna, Argentina. Intuisce la portata dell’opera iniziata da Don Bosco e, con grande amore per i giovani e umiltà, chiede di poter diventare salesiano lui e i suoi sacerdoti che aiutavano i ragazzi poveri. Ci vuole fede, coraggio ed amore sincero per staccarsi dalla propria creatura per affidarla ad altri che la possano far crescere. Quante volte nella Chiesa e anche nel mondo dell’impresa i fondatori di un’opera bella o di un’azienda di successo non sanno intuire quando è
giunto il tempo di cedere il testimone ad altri e, purtroppo, soffocano e fanno perire con loro anche la loro bella intuizione e realizzazione.

Don Belloni non commette questo sbaglio e scrive direttamente a Don Bosco invitandolo ad inviare i suoi salesiani in Palestina, che a quel tempo era territorio sotto il protettorato inglese. Non sarà Don Bosco ad esaudire la richiesta del Belloni, ma il suo successore, don Rua. I salesiani arrivano a Betlemme nel 1891 e subito don Belloni chiede di far parte della congregazione salesiana e apporta al servizio dei Figli di Don Bosco il bello e grande orfanotrofio che aveva costruito nel 1863, con l’annessa chiesa del Sacro Cuore.

Da allora i salesiani non hanno più abbandonato questo luogo così particolare e suggestivo per la cristianità intera. Dall’orfanatrofio si è passati alla scuola professionale, che funziona tutt’ora e che prepara i giovani palestinesi al lavoro, e all’oratorio salesiano com’è tipico di ogni opera di Don Bosco.

Il forno di Betlemme

L’etimologia del nome Betlemme significa “casa del pane” e per una felice coincidenza di fatti noi salesiani a Betlemme abbiamo un panificio. Che strano, direte voi. Effettivamente le cose nel tempo sono andate così. Dal tempo dell’orfanotrofio, che accoglieva fino a cento bambini, per
risparmiare sul costo del vitto, funzionava dentro la casa un piccolo forno per il pane. Pane arabo, s’intende.

Il forno gestito da un salesiano coadiutore continua a funzionare sempre per l’uso interno, prima dell’orfanotrofio e poi della comunità salesiana e della scuola.

Durante il periodo della seconda Intifada, all’inizio degli anni 2000, nei periodi di più forte scontro tra palestinesi e israeliani, il coprifuoco imposto dall’autorità israeliana aveva portato alla fame la popolazione locale di Betlemme, che non poteva uscire di casa per andare a comprarsi da mangiare. I salesiani hanno il forno, hanno sacchi di farina in dispensa, la gente ha fame… non si può stare a guardare volgendo lo sguardo dall’altra parte. Cominciano a produrre molto più pane di quanto ne serve al fabbisogno interno e, approfittando dei cortili interni e dei passaggi nascosti fra a casa e casa, il pane arriva alle porte delle famiglie più povere. Intanto la farina cala rapidamente, ma quando ormai sta per finire il
clima politico si stempera e ci si può muovere nuovamente per approvvigionare altra farina… la fame è stata scongiurata! Da allora il forno di Betlemme gestito direttamente dai salesiani non ha più smesso di produrre pane per la popolazione locale. È diventato un negozio a tutti gli effetti, il più rinomato panificio di Betlemme. Perché nel frattempo dall’Italia sono scesi maestri panificatori che hanno insegnato a produrre diversi tipi di pane e con l’aiuto delle Procure Missionarie salesiane, si è potuta rinnovare l’attrezzatura.

Oggi il forno dei salesiani impiega cinque operatori a tempo pieno che lavorano ogni notte quintali di farina e al mattino, già dalle sei, apre il negozio che vende il pane fino a quando ce n’è…. alle dieci, massimo alle undici del mattino, il negozio chiude perché ha venduto tutto il pane fresco prodotto in giornata. Ben quattordici tipi di pane,
davvero squisito!

Non si sono però dimenticati dei poveri. Il contatto con le famiglie bisognose, generato nel periodo dell’Intifada, ha portato a stilare un elenco di poveri che ogni giorno ricevono il pane ad un prezzo simbolico, qualcuno lo riceve quotidianamente gratis.
E sono un terzo di tutti i clienti del panificio. Il ricavato del pane venduto ogni giorno permette di pagare i salari dei lavoratori, coprire le perdite generate dal pane donato ai bisognosi e contribuire anche all’economia della casa salesiana.

Davvero i salesiani a Betlemme sono buoni… come il pane!

A Cremisan

Un po’ in periferia dalla città di Gerusalemme, in territorio appartenente alla Palestina, ma pericolosamente circondata dal muro che Israele continua a costruire per delimitare i propri confini, abbiamo un’altra opera nella valle di Cremisan. È stata quest’opera per lunghissimo tempo la casa di formazione dei salesiani in Terra Santa, cioè fino al trasferimento del teologato a Ratisbonne. La casa di Cremisan si trova al centro di una vasta estensione di terreno agricolo coltivato a vigneto ed uliveto. Vi si produce dell’ottimo vino bianco e rosso, che ha preso anche dei
premi a livello internazionale. L’olio poi è di una qualità superiore e la spremitura a freddo ne garantisce il sapore e l’integrità fino alla
tavola. Cremisan quindi non è solo sinonimo di spiritualità e cammino di formazione, ma è anche una bella azienda agricola.
Un’azienda agricola con finalità sociale perché dà lavoro a persone in un territorio, come è quello palestinese, in cui spesso si tira avanti
con sussidi internazionali, che se da un lato risolvono il problema immediato della reperibilità di risorse economiche, dall’altro atrofizzano la capacità di darsi da fare per avere la dignità di mantenersi con il frutto delle proprie mani. A Cremisan le colture sono rigorosamente biologiche, quindi si coltiva rispettando la terra e i prodotti che riesce a donare senza prodotti chimici nocivi per la natura e per l’uomo. Infine Cremisan è anche una fonte di autofinanziamento dei salesiani presenti in Medio Oriente, perché le entrate dell’azienda agricola contribuiscono a sostenere le opere più bisognose, e spesso le più utili, a servizio di popolazioni martoriate da anni di guerre, lotte fratricide e migrazioni.

Beit Gemal – centro di spiritualità e dialogo interreligioso

A circa 35 chilometri da Gerusalemme, scendendo verso il Mar Mediteraneo, è presente la terza opera salesiana nel villaggio di Beit Gemal. Anche in questo caso si tratta di una presenza storica lasciataci da don Antonio Belloni che all’origine era un orfanotrofio e ora è un centro di spiritualità e di dialogo interreligioso, in particolare con il mondo ebraico. A Beit Gemal i salesiani sono i custodi della tomba di Santo Stefano proto martire. Scavi archeologici condotti nella metà del secolo scorso infatti hanno appurato che proprio dentro la nostra proprietà si trovano i resti di quella che è stata la tomba del giovane santo – Stefano – morto per testimoniare la sua fede in Gesù Cristo e alla cui esecuzione, mediante lapidazione, era presente anche Saulo che poi, convertito sulla via di Damasco, chiameremo Paolo, San Paolo!
La bellezza del luogo immerso nel verde, la storicità del convento dei salesiani, l’architettura della chiesa di Santo Stefano portano molti ebrei a visitare la nostra opera di Beit Gemal. È questa una bella occasione di incontro e di confronto fra cristiani ed ebrei, nel rispetto di ciascuno, che in Terra Santa ha un valore simbolico importante.
Nella chiesa di Santo Stefano sono poi custodite le spoglie del venerabile Simaan Srugi, un semplice salesiano coadiutore, vissuto umilmente e attento ai più poveri, la cui vita era in odore di santità ancora egli vivente. Particolarmente amato dalla popolazione musulmana che lui prediligeva nel suo sostegno ai più bisognosi.

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