In Etiopia il primo aiuto è la disponibilità all’ascolto

Ci ha scritto il nostro amico Abba Filippo Perin, missionario in Etiopia, per aggiornarci sulla situazione della missione nel difficile contesto in cui sta vivendo la popolazione nel paese.

Cari amici come state?
Un saluto dall’Etiopia e da Lare. Siamo appena entrati nel periodo più caldo dell’anno, di giorno abbiamo già toccato i 40 gradi, ma di notte dopo le 2 arriva un venticello fresco… qualche ora di sollievo.

La prima notizia è la scomparsa di don Giorgio Pontiggia, siamo stati insieme per ben 5 anni a Pugnido, era tornato in Italia per la sua salute e poco dopo Natale ci ha lasciati a causa del Covid. È stato quasi 30 anni in Etiopia come missionario, qui lo ricordiamo con tanto affetto e tanta preghiera.
In Etiopia tutta tace sulla guerra civile nella regione del nord Tigray, le comunicazioni sono ancora chiuse, il governo sta cercando di riattivare la vita normale, anche se si sentono ancora notizie di scontri con i ribelli e di incursioni di soldati eritrei in Etiopia. La nostra preghiera è costante per questo nostro pezzo di Etiopia.

Dopo i due Natali, ho iniziato a visitare tutte le famiglie della nostra parrocchia, tre pomeriggi alla settimana. Insieme ad un catechista giriamo fra le capanne del villaggio, ci fermiamo un’oretta per famiglia. Prima l’accoglienza fuori, i saluti, poi si entra nella capanna attraverso una porta stretta e bassa, si lasciano le ciabatte fuori e ci si siede per terra all’interno.

Quasi tutti adesso hanno un materasso, dopo il dono fatto da noi a febbraio, alcune famiglie nuove invece hanno solo delle stuoie dove dormire, nessun cuscino, niente luce elettrica, per armadio dei fili tirati da una parte all’altra, tanto i vestiti sono pochissimi, un tavolino dove ci sono delle pentole, qualche tazza, per posate solo cucchiai, qualche centrino colorato sulle pareti basse, poi da un metro in su il tetto, che è tutta paglia… ecco le capanne della nostra gente.

Fuori due sassi dove si cucina, due contenitori di plastica per prendere l’acqua al pozzo, una zona per le mucche e le pecore. In questo periodo gli animali vengono portati al fiume, distante 7 km, perché li c’è l’acqua e dell’erba per il pascolo.
Dopo che ci siamo seduti e salutati, prendo il quaderno della scorsa visita e ripeto i nomi di tutta la famiglia, di solito c’è la mamma con vari figli, o una donna anziana, il papà alle volte c’è, alle volte non c’è, controllo in che condizioni è la capanna, chiedo un po’ di notizie su come stanno i figli, il marito… e poi preghiamo insieme, qualche canto, delle preghiere spontanee che a loro piacciono tanto, tutti chiudono gli occhi e abbassano la testa, e infine il padre nostro alzando le mani al cielo.
Alla fine consegno loro delle immagini da appendere, una di Gesù e una di Maria, delle medagliette da appendere al collo per i bambini e un rosario. Finiamo parlando della famiglia, delle difficoltà ma anche di qualche notizia bella che è successa. Ci salutiamo, usciamo dalla capanna, riprendiamo le ciabatte e andiamo da un’altra famiglia.

La visita alle famiglie è una delle esperienze più belle, stringiamo più amicizia, cerco poi di ricordare i loro nomi, mi rendo conto della realtà della vita quotidiana qui a Lare, vengo a conoscenza dei loro reali problemi.
Le richieste poi sono tante: per le loro malattie non hanno i soldi per andare alla clinica o non ci vogliono andare, tanto danno sempre quelle due medicine, tachipirina e l’antibiotico. Anche per mandare qualcuno all’ospedale di Gambella, l’abbiamo fatto per alcune persone, devi pagare l’ambulanza, la benzina e l’autista…
Riceviamo richieste per il cibo, soprattutto per chi ha tanti figli e non ha più il marito, il tutto aggravato ora dalla stagione secca.

Poi ci sono le richieste per la casa: dopo l’alluvione di inizio ottobre abbiamo attivato un comitato di catechisti che hanno già visitato più volte tutte le capanne, raccolto tutte le necessità e dato un sostanzioso contributo per la riparazione e la ricostruzione di molte capanne. Speriamo di completare al più presto questo progetto di sostegno.

Infine i bambini: da ottobre abbiamo aperto una scuola materna per 100 bambini, dando non solo educazione, ma una bella merenda, l’uniforme, una cartella, i giochi all’aperto, la visione di un cartone animato il venerdì, la giornata dei colori il martedì…
Ogni settimana, il sabato mattina, con il gruppo dei catechisti locali ci incontriamo per vedere tutte queste richieste e come poter fare per risolverne alcune insieme.

Alcune belle notizie: nella cappella di Gok abbiamo battezzato più di 40 persone, tra bambini, ragazzi e adulti, e altre 40 persone hanno fatto la prima comunione. È’ stata una bellissima festa, piena di vita, di canti e preghiere, di esultanza per i battesimi e le comunioni, e poi con un bel pranzo con polenta e tanto sugo fatto di poco pesce e tante erbe. Alla fine caffè, biscotti e caramelle per tutti.

In questo mese abbiamo attivato il capo del nostro villaggio e l’assessore all’acqua per realizzare un pozzo a mano per l’acqua proprio nel villaggio di Gok, vicino alla nostra cappella e alla nostra scuola materna. Speriamo al più presto di poter disporre dell’acqua potabile per il villaggio e i bambini.

La cappella di Kubri va avanti bene, sia con la materna e la scuola di lettura in lingua nuer per le donne durante la settimana sia la domenica con la preghiera con la comunità cattolica. Stiamo cercando di riattivare la cappella di Tiajiak, sabato ci troviamo per l’incontro di preghiera e la catechesi, stiamo rinforzando i catechisti perché possano seguire bene la comunità.

Infine, questo mese è dedicato a don Bosco, il 31 gennaio è la sua festa. Del nostro santo vorrei ricordare due sue frasi:
“L’educazione è cosa del cuore” e “In ogni ragazzo, anche il più disgraziato, vi è un punto accessibile al bene, compito di ogni educatore è trovare quella corda sensibile e farla vibrare.”

Ogni giorno qui proviamo a vivere queste frasi, proviamo ad essere don Bosco in Africa, Viva DON BOSCO. Ciao a tutti,

Abba Filippo

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