Diritti Umani: 70 anni della Dichiarazione con un occhio al Natalemondo

Il 10 dicembre si celebra il 70° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. Nei suoi intenti questa doveva abbracciare tutti i Paesi, tutti gli abitati del pianeta, indipendentemente da razza, nazionalità, censo, religione…

Quanto siamo cresciuti nella comunione tra noi essere umani su questa terra dal 1948 a oggi è una verifica su cui ciascuno può spendere un po’ di tempo e di memoria. Senz’altro i media hanno abbondanza di servizi e di opinioni da proporre in questi giorni.

C’è un evento in particolare che ha già fatto discutere molto di sé e che avviene di proposito il 10 e 11 dicembre a Marrakech, in Marocco, dove ci sarà la firma del Global Compact on Migration (Accordo Globale sulla migrazione) da parte di molti capi di Stato o loro rappresentanti.

Il Global Compact non è una invenzione di questi giorni. È un ‘patto’ nato per coinvolgere il mondo imprenditoriale, governi locali o nazionali e la società civile in scelte gestionali attente allo sviluppo di tutti, nel rispetto del creato. Agli inizi degli anni 2000 l’allora segretario dell’Onu, Kofi Annan, diede una risonanza e portata mondiale a questo patto, e da allora il Global Compact si è esteso e rinnovato, in una varietà di forme e eventi.

Quello di cui si riempiono i titoli di giornali e TG nelle ultime settimane è l’ultima fase evolutiva di questo patto globale: il Global Compact on Migration.

Ho provato a cercare su tutti i siti possibili una versione italiana dei 54 punti in 34 pagine della versione originale inglese. In Italia tutti ne parlano ma non ho trovato un giornale, una ONG, neppure il sito ONU di Roma, che diano la possibilità di leggere di prima mano di cosa veramente si tratta. Penso invece che questo sia proprio il passo da fare.

La ‘comunione’ tra noi uomini non è un optional facoltativo, per tantissime ragioni già di suo; e per molte di più, se davvero prendiamo sul serio il Natale che ci richiama Chi ha preso le mosse dall’alto, che ha creduto così tanto nella comunione con noi da farsi carne, condividendo in tutto la nostra sorte, fino a morirci, e sappiamo come.

Su quanto l’Onu propone non si può voltare la faccia dall’altra parte. È il livello di ‘comunione’ più allargato possibile per il tipo di mondo in cui viviamo.

Mettersi in ascolto di questi due cori del 10 dicembre 1948 e 10 dicembre 2018 credo sia un atto di giustizia verso tutti quelli che in questi 70 anni hanno creduto che la comunione tra gli abitanti di questo pianeta sia la strada giusta, nonostante tutti gli ostacoli. È la strada che va dalla parte opposta rispetto al mettersi gli uni contro gli altri, come era capitato in modo così tragico nei dieci anni che han preceduto quella prima dichiarazione del 1948; o gli uni senza gli altri, come non pochi oggi vogliono ostinatamente restare.

La lettura calma è anche una buona palestra, un esercizio ottimo per la mente e per il cuore, se vogliamo entrare nelle misure di chi è venuto 2000 anni fa a cercare di convincerci che, di fronte a Lui che ci ha fatti, siamo tutti sempre solo figli e figlie, fratelli e sorelle, senza se e senza ma. Dicendola proprio tutta, l’Avvento ci mette davanti una misura ancora più grande e più impegnativa: la misura dei Natali che ci rimangono da celebrare prima di arrivare al nostro ultimo, o meglio al nostro ‘dies natalis’, il giorno in cui Lui viene proprio da me e io gli vado incontro. Lì la misura, la porta stretta per cui entrare, è stata già dichiarata con il massimo della chiarezza non dall’Onu, ma proprio da lui, nostro fratello, il cui compleanno siamo soliti celebrare il 25 dicembre. La misura è scritta nel vangelo di Matteo al capitolo 25: “Ero forestiero… Lo avete fatto a me”.

Don Silvio Roggia sdb

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